Stimoli e riflessioni da Vila Esperança – Brasile
Un viaggio in trenta città italiane attraverso il messaggio del teatro
Pio Campo (fondatore ed operatore di Vila Esperança), Novembre ’95
Arrivare in Italia dopo alcuni anni di assenza o per la prima volta, come nel caso dei nostri compagni brasiliani, non è facile. L’aria che si respira è densa di tensione. Questa nuova società multietnica è alimentata da inquietudine, paura e la violenza che nasce dall’ignoranza è presente per le strade, nei volti delle persone, nelle conversazioni colte negli autobus, alle fermate della metropolitana.
Noi del gruppo Circo, abbiamo preparato la nostra venuta con molta cura. Abbiamo studiato insieme, ci siamo impegnati con serietà per un anno perché lo spettacolo che abbiamo portato in giro fosse più che uno spettacolo. Desideravamo che fosse una proposta di incontro pacifico fra culture diverse, un messaggio concreto di comunione e speranza. Nella notte del nostro arrivo a Linate ci ha sconvolti l’aggressività assurda della polizia che voleva rimandare indietro senza discutere i componenti brasiliani del gruppo, adducendo motivi biechi che trovano ragione solo in un oscuro razzismo che forse ingenuamente, pensavamo superato. E così, spesso, entrare in un supermercato o in un negozio, è stato motivo di panico e allerta per i commessi che ci guardavano vigili e pronti ad affrontare il pericolo che la nostra presenza rappresentava. Confesso che mi sono vergognato davanti ai miei compagni brasiliani di questa “accoglienza” che degenerava in ridicoli atteggiamenti di difesa. Quante volte ho ricordato la tenerezza e la disponibilità con la quale, dall’altra parte del mondo, sono stato e sono circondato, come ho rimpianto gli occhi fiduciosi e allegri con i quali la gente nel “terzo mondo” sa salutare.
Ancora una volta superare queste barriere è stato possibile solo pensando che la storia vera, quella in cui l’uomo cammina verso la giustizia e il progresso, non è la storia ufficiale, non quella che i media raccontano ne’ quella che superficialmente raccogliamo per strada ma bensì quella nascosta, fatta e vissuta da piccoli gruppi, da gente che ancora sa sperare e sognare e lottare. Gente comune che ancora si organizza e non si lascia trasportare dal “triste incanto della rassegnazione”. I vari gruppi che ci hanno accolti e ospitati in diverse città d’Italia per permetterci di presentare lo spettacolo, hanno reso possibile questa esperienza viva della relazione, anche qui, in un paese che a prima vista sembra essersi trasformato in pozzo caotico di confusione e amarezza. Anche qui la speranza ancora vive e l’abbiamo respirata nel volto di tutti coloro che ci hanno colmati di attenzioni e tenerezze, nel volto di chi ci preparava banchetti e letti comodi, di chi nel palco o in teatro si affaccendava al buio perché tutto funzionasse bene, di chi in un modo o nell’altro si rendeva disponibile ad aiutare ed era semplicemente presente. Impossibile elencarne i nomi, ne rimarrebbe fuori qualcuno e sarebbe ingiusto, i nomi di coloro che non conosciamo per esempio, e che assistendo allo spettacolo ci hanno dato forza e coraggio. E’ stato bello insomma vivere questa esperienza e mi pare, ci pare, che lo spettacolo abbia sempre creato un clima di festa, di comunicazione intima e magica, di “lotta e di vittoria”. Anche quando, a volte, problemi di organizzazione sembravano creare piccole barriere, sempre è stata la forza della relazione a prevalere. Ci siamo resi conto che per molte persone l’occasione dello spettacolo ha rappresentato la possibilità di incontrasi o rincontrarsi e conoscersi meglio, di riprendere contatti perduti o allacciarne di nuovi, di mettere in moto la macchina di una umanità a volte un po’ assopita o troppo assorbita dai ritmi imperdonabili di una società frenetica ed esigente. È così che è andata e ne siamo contenti. Noi sentiamo che vi abbiamo parlato col nostro linguaggio, coi mezzi che amiamo usare e che sono anche il nostro lavoro. E soprattutto sentiamo che ci siamo capiti al di là delle differenze, delle paure, delle distanze. Grazie dunque a tutti per aver reso possibile questo incontro e per il credere con noi che uscendo fuori dalle piccole sicurezze si va incontro insieme alla “speranza, la speranza affamata e folle, amante e amata, la speranza ostinata dei figli del sole che rompono la notte”.
Raccontare di Vila Esperança oggi, non è semplice. La “Vila” è una realtà in perenne trasformazione e crescita, una esperienza e una vita che esige da noi che la viviamo quotidianamente una opzione e una disponibilità costanti. Starle dietro significa per esempio essere pronti a cambiare, non potersi mai soffermare su troppe sicurezze perché la dinamicità e la corsa dietro alla verità impongono una grande elasticità. Non si tratta di essere eroi, basta forse aver voglia di essere vivi e credere che la storia dell’uomo si evolve giorno per giorno al di là delle difficoltà, inseguendo la “Esperança” .
Vila Esperança è legalmente una associazione culturale senza fini di lucro e non legata a partiti politici o credo religiosi. Lo spazio fisico, con le sue costruzioni, nasce dal sogno di ripresentare, in una ricerca di estetica semplice ma coerente, le culture latino americane, l’africana e l’europea (un po’ decadente e con qualche maschera piangente che ricorda i disastri che gli europei hanno combinato in cinque secoli di storia). Il “Quilombo”, il teatro “Territorio Livre” le “avenidas dos herois” insieme a tutte le altre costruzioni e alle piante e fiori che le circondano sono un cammino vivo nella storia che i bambini, frequentatori abituali della Vila, percorrono giocando o studiando, una storia però vissuta e affrontata con un’ottica che nasce dal Sud del mondo.
Quest’anno ha preso il via la scuola. In attesa che i lunghi processi burocratici ne consentano il riconoscimento ufficiale abbiamo offerto la nostra collaborazione alle tre scuole pubbliche più carenti della città. Così, novantacinque bambini delle classi dell’asilo si alternano alla Vila per frequentare una scuola in cui imparare non significa rimanere inchiodati in sale squallide e senza materiale didattico, ma è invece una scoperta deliziosa ogni giorno. Scoperta che si snoda fra colori, suoni, merende appetitose, maestre preparate e attente a tutto, tutto in una dimensione adatta alla statura di un bambino; dai bagni ai piccoli banchi colorati e alle sedie e così via. Le maestre ufficiali si incontrano con le maestre una volta alla settimana per la programmazione didattica e una volta al mese si fa un incontro festivo esteso anche ai genitori in cui i bambini possono dimostrare quanto hanno appreso nel corso delle quattro settimane.
Mancano ancora nella Vila delle strutture adeguate, altre sale, un refettorio di dimensioni capaci di accogliere comodamente così tanti bambini e delle tettoie che coprono i cammini durante i mesi di pioggia. L’intento è anche quello di aumentare il numero delle classi fino a completare la quarta elementare. Le insegnanti sono attualmente due. La ludoteca conta oggi più di settantacinque bambini ma il numero è in costante aumento. Poter giocare significa per questi ragazzi avere la possibilità di vivere finalmente la dimensione dell’infanzia in una realtà in cui il lavoro massacrante di 12 ore al giorno durante le epoche del raccolto, li proietta in un mondo duro, come se già fossero costretti a essere adulti prima del tempo. Nella ludoteca si gioca e si impara ad avere con i giocattoli non un rapporto di possesso ma di comunione, uno strumento di comunicazione con gli altri bambini e con gli adulti che sono presenti. La grande sfida è, quest’anno, iniziare l’esperienza della ludoteca ambulante che vuole raggiungere i bambini dei ” Senza terra” per dare anche a loro l’allegria dei giocattoli e dei momenti spensierati. Ciò significa arrivare fino agli accampamenti e montare rapidamente l’area del sogno, in mezzo ai boschi e restituire anche a questi bambini il diritto di essere tali. Ma la ludoteca non è solo uno spazio ludico, è anche il campo in cui nascono tutte le problematiche legate allo sviluppo, da quelle razziali alle sessuali, di comunicazione e così via. Queste problematiche sono risolte man mano che si presentano anche con l’aiuto di esperti o attraverso il teatro o studi comunitari sviluppati con dinamiche accessibili all’età di ciascun bambino.
Nell’ambito della attività culturale che Vila Esperança offre ai bambini della periferia, è nato anche il desiderio per poter offrire un intervento di salute. Le loro condizioni risentono della mancanza di assistenza sanitaria, di serie carenze alimentari, carenze di igiene, assenza di qualunque tipo di prevenzione. Già i bambini che frequentano la Vila ricevono quotidianamente un pasto più ricco del consueto riso e fagioli, ma non è sufficiente. Così si pensa di offrire in futuro due diversi ambiti di intervento, entrambi estremamente importanti, che necessitano di risorse umane ed economiche differenziate: un intervento di prevenzione igienico-nutrizionale e un intervento di prevenzione socio-sanitaria (educazione alla salute, educazione sessuale, conoscenza delle malattie sessualmente trasmissibili ecc…).
La Vila attua un programma culturale rivolto anche agli adulti, attraverso gli spettacoli teatrali e la formazione di nuovi gruppi di animatori culturali che possano lavorare nelle loro comunità. Ciò avviene con i laboratori di teatro ed espressione corporale offerti nella Vila o direttamente nelle comunità periferiche e nelle città limitrofe.
Crediamo di poter affermare che la Vila Esperança rappresenta oggi un punto di riferimento chiaro per la popolazione e il nostro desiderio è continuare a dare sempre più importanza alle radici culturali del popolo brasiliano affinché le ricchezze delle varie etnie che la compongono possano crescere sempre di più nella libertà e nel valore profetico che offrono al mondo.
Una visita a Vila Esperança
di Fabio Favata e Maria Lissoni
Aprile 1995
Introduzione
Vila Esperança è un posto bellissimo; è composto da una serie di piccoli edifici, posti su un grande terreno digradante verso un fiume, il Rio Vermelho; la zona intorno è collinosa, ricoperta di fitta vegetazione tropicale.
Siamo alla periferia della città di Goiàs, circa 40,000 abitanti, il quartiere è povero, la strada su cui si affaccia il muro di cinta della Vila è tutta buche fangose, mucchi di spazzatura ai lati.
Il contrasto tra quello che c’è fuori e quello che c’è “dentro” non potrebbe essere più stridente; all’interno tutto è non ricco ma curato, pulito, ordinato. Ogni foglia secca è tolta dai vialetti, i giardini sono ben tenuti e annaffiati durante la stagione secca (sveglia alle 4 di mattina, ogni mattina, per dare l’acqua), la manutenzione costante; e questa cura è parte del progetto educativo stesso, i bambini sono i primi ad accorgersene (“guarda, guarda che meraviglia !” mi ha detto un giorno un piccolino, prendendomi per mano e portandomi in cima alla scalinata che domina la parte verso il fiume della Vila, indicandomi il panorama con un ampio gesto del braccio).
Gli educatori
Nella Vila sono fisse quattro persone; tutto il loro tempo è dedicato interamente al progetto, perchè il progetto è la loro vita.
Lucia, il nostro “anello di congiunzione”, lavora con i bambini della Brinquedoteca (ludoteca) ed è diventata, in un solo anno di attività, un formidabile mimo e clown. Ha introdotto il computer nella vita quotidiana della Vila, prepara il giornalino “Nariz Vermelho”, si occupa dei conti (mestiere ingrato).
Pio, un ex-agente di viaggi milanese, che qualche anno fa è letteralmente fuggito dall’occidente e ha investito tutto quello che aveva nel progetto; lavora con i bambini della Brinquedoteca (in effetti è il loro papà), è attore e coreografo del Grupo Circo; è anche l’animalista della comunità, si occupa dei tucani, dei pappagalli, dei pesci degli acquari (inseriti nel “programma scolastico” per la parte di scienze naturali) per finire ai cani e gatti e al pollaio.
Robson, brasiliano, di Belo Horizonte, ex francescano, ha girato almeno tre conventi, lavorando molto con le prostitute prima e con i bambini poi, prima di concepire con Pio questo progetto; è l’artista-genio del gruppo, sono suoi sia i testi che le regie teatrali, i costumi (disegno e fattura, è un asso della macchina da cucire :-)# , i progetti degli edifici. è anche un infaticabile casalingo; anche adesso, che pure è stata assunta una donna per le pulizie quotidiane, lo si trova spesso, nei momenti liberi, con una ramazza in mano.
Rosangela, arrivata da pochi mesi, sorella di Robson,è la direttrice didattica e per ora unica docente della scuola; è una maestra con lunga esperienza alle spalle, ha lavorato anche all’estero, nei cantieri delle ditte brasiliane. Affronta classi di 30 pargoli tra i 4 e i 6 anni con una dolcezza e sicurezza straordinarie, è amata da tutti i bambini; Rosangela, come e forse più di tutti gli abitanti di Vila Esperança, non conosce l’ozio; nei momenti liberi dalla preparazione delle lezioni, cucina enormi torte per la merenda della criança (bambini)
Fanno parte del gruppo teatrale, ma abitano fuori dalla Vila, altre tre persone: Lourdinha, l’unica nativa di Goiàs, al mattino lavora come segretaria del vescovo; Rosa e Renusia, le mascotte del gruppo, di 20 e 18 anni; appartegono al primo gruppo di bambini che ha frequentato Vila Esperança. Ora ricevono un piccolo stipendio, di circa 70 dollari al mese in qualità di “maestre” (ovvero brincadoras, giocatrici) della Brinquedoteca; con questa somma si mantengono agli studi (Renusia la mattina va al liceo, Rosa fa l’Università serale).
Notare che 70 dollari è un “salario minimo”, ovvero lo stipendio di un lavoratore manuale di bassa forza che lavora a tempo pieno. Rosa e Renusia lavorano part-time, solo il pomeriggio.
Attualmente c’è in forza anche Paolo, milanese pendolare tra l’Italia e il Brasile; a lui è affidata la neonata “Casa Serena” (il nome è ironico, Paolo cercava qualcosa che ricordasse un ospizio:-), la foresteria dove dormiranno gli ospiti (che sono arrivati ad essere anche qualche decina, nel periodo di punta estivo). Paolo è filosofo e psicologo, e spera di trovare lavoro come insegnante per potersi trasferire definitivamente a Goiàs.
L’ambiente
Gli edifici di Vila Esperança si inseriscono armoniosamente nel paesaggio; sono immersi nel verde di un giardino rigoglioso, e hanno tutti una funzione pratica ma anche un alto valore simbolico.
L’unica casa che preesisteva al progetto è quella che da sulla strada, trasformata in “castello” da un paio di buffe torrette; ospita l’ officina (laboratorio di sartoria teatrale e lavorazione della creta), il magazzino dei costumi e le abitazioni di Robson e Pio . Il Castello rappresenta l’Europa, è simbolo della cultura (è prevista qui la biblioteca) ma anche del dolore portato in sudamerica con i conquistadores; la decorazione interna è a tratti piuttosto lugubre. Sembra quasi il castello delle streghe del lunapark!
Un vialetto parte del Castello e conduce al Quilombo, bella costruzione circolare, ispirato a una capanna africana; è la sala teatro, dove i bambini dei vari gruppi della Brinquedoteca vengono riuniti il giovedì.
Il Quilombo é il simbolo della componente nera del Brasile, gli eredi degli schiavi ma anche dei custodi del culto degli orixàs #, dei protagonisti delle rivolte contro i grandi proprietari terrieri.
Più sotto ci sono due casette; nella prima ci sono la cucina e la veranda dove si consumano i pasti in comune, nonchè la segreteria della scuola e l’escritorio; in questo piccolo locale Lucia lavora col computer mentre Robson, appollaiato al suo grande tavolo da lavoro nella parte sopraelevata della stanza, trasforma in progetto operativo le sue “visioni”.
Nella seconda casetta si trovano la sala degli acquari (ora anche sala video) e la Brinquedoteca. Una scaletta scende verso il Parco Giochi, con la Praça Vermelha (Piazza Rossa) e il Jardin das Formas, uno straordiario accrocchio di grandi solidi geometrici, realizzati in cemento e colorati, su cui i bambini saltano, giocano e … imparano la geometria !
A destra del parchetto ci sono i nuovi edifici per la scuola, realizzati con un fondo CEE per la cooperazione: la Piazza degli Orti, dove i bambini potranno imparare a coltivare fiori e piantine; l’Aula d’Arte, dove si disegna, colora e modella. Ci sono anche i bagni, realizzati a misura di bambino; sono molto popolari tra i piccolini (4-6 anni) che frequentano la scuola, ogni scusa è buona per farci una visitina!
Il Jardin das Formas e la Piazza degli Orti saranno integrati (in un futuro vicino, si spera, ma per ora non ci sono soldi) dalla voliera e dalla sala di scienze , per realizzare il programma scientifico della scuola, che prevede un contatto diretto e interattivo dei bambini con le … materie di studio!
A sinistra del parchetto c’è la parte simbolicamente intitolata alla cultura indigena; si imbocca il Viale degli Eroi, contornato di colonne in stile “precolombiano” intitolate ognuna a un eroe sudamericano e si arriva dietro al palco del teatro, chiamato significativamente Territorio Livre (territorio libero).
Questa è forse il più affascinante tra gli edifici della Vila; è una grande struttura rettangolare a gradoni, circondata da un muretto colorato, che digrada verso il palco principale, situato nei pressi del fiume; altri 4 palchetti o patamar, contraddistinti dai colori rosso, nero, giallo e bianco, si trovano a metà dei quattro lati, mentre il patamar centrale è in mezzo al teatro.
Il teatro è uno spazio che il Grupo-Circo offre alla popolazione di Goiàs, per ogni tipo di manifestazione; è un incentivo a un risveglio culturale per una cittadina affogata nella miseria e nell’isolamento culturale.
In alto, tra il teatro e il muro di cinta, è prevista la costruzione della Sala di Danza. A sinistra del teatro, c’è ancora un ampio terreno tutto da inventare; le idee abbondano, i fondi invece scarseggiano, ma la speranza non manca; d’altronde, tutte le cose che vi ho descritto sono state realizzate in pochi anni, da un gruppetto di visionari che ha saputo contagiare di entusiasmo amici e familiari, con la sua allegria, il suo amore per i bambini e la cultura, il suo desiderio di giustizia e liberazione per tutti i poveri della Terra.
I bambini
La situazione di terribile degrado economico, ma sopratutto sociale e culturale delle classi povere di Goiàs è una seria ipoteca sulle possibilità di sviluppo dei bambini; questi vivono in mezzo alla strada, gli adulti non si occupano più di tanto di loro, la struttura familiare è spesso disgregata: padri che scompaiono alla ricerca di un lavoro, madri che si prostituiscono per campare.
Non c’è quindi solo il problema di una carenza alimentare; manca spesso una casa dignitosa, perchè non si può definire casa un tugurio di fango col tetto fatto con la stessa plastica nera che noi usiamo per i sacchi della monnezza; manca un ambiente familiare sereno, con figure di riferimento adulte “positive”; manca la possibilità di giocare con un giocattolo vero, di essere bambini a tutti gli effetti; ragazzini che ti squadrano con sguardi duri di adulto, bimbette di 10 anni truccate vistosamente.
Le scuole pubbliche sono poche e funzionano male, spesso non ci sono i soldi neanche per il materiale didattico, gli insegnanti sono sottopagati; solo un bambino su dieci supera il primo anno di elementare.
Il progetto educativo di Vila Esperança non è quindi ristretto alla sola alfabetizzazione; si punta allo sviluppo globale della personalità di ogni bambino attraverso l’esercizio della creatività, insegnando il rispetto verso sè stessi e verso l’ambiente circostante, recuperando la memoria storica del Brasile.
Infatti questi bambini vivono il mito del primero mundo (cioè l’occidente) attraverso l’ignoranza e il disprezzo per tutto ciò che è locale, compresi se stessi.
L’animazione teatrale, attraverso la preparazione di spettacoli con canti, danze e costumi coloratissimi, vuole offrire ai bimbi la possibilità di partecipare attivamente alla creazione artistica; inoltre le storie narrate hanno sempre una funzione educativa, i temi sono l’ecologia, la politica, la storia del Brasile…
Il contatto e l’interazione con adulti che si occupano di loro è fondamentale; soprattutto gli uomini hanno un ruolo preciso di figura paterna; Pio è un papà buono, sempre disponibile e presente, assediato da piccolini e non, accarezzato e sbaciucchiato oltre ogni dire. L’affettuosità di questi bambini è straordinaria; sono felici se qualcuno dà loro appena un pò di attenzione!
La Brinquedoteca, allestita con il finanziamento di una fondazione brasiliana per la difesa dei diritti dei minori, è un luogo magico, dove i bambini possono essere finalmente e fino in fondo cuccioli d’uomo, impegnati nell’unica attività che dovrebbe essere loro richiesta; il gioco.
I bambini che partecipano sono circa una sessantina, tra i 7 e i 14 anni, divisi in tre gruppi, a seconda delle amicizie e della zona di provenienza della città; alcuni fanno quasi un’ora di cammino per arrivare a Vila Esperança.
La Brinquedoteca funziona il pomeriggio, dal lunedì al mercoledì; il giovedì, tutti insieme partecipano a una piccola festa con giochi di animazione e attività varie.
La sala inferiore della Brinquedoteca, coloratissima, contiene i giochi di costruzione, piccoli strumenti musicali (gettonatissimi), le bambole e un teatrino; tante le bambine che giocano con le Barbie, attratte dai vestiti ma soprattutto dalla casetta, completa di arredamento (probabilmente una cosa rara, nella loro realtà quotidiana).
Al piano superiore, i giochi da tavolo, di pazienza e di memoria; contrariamente alle nostre aspettative, sono molto apprezzati, ed è straordinaria la capacità di concentrazione che questi bambini hanno; ti insegnano a giocare a domino, a shangai e al “paroliamo’ con lo stesso entusiasmo che ti aspetteresti per una partita di pallone!!!
Lucia ci ha raccontato che un giorno sparì un’automobilina rossa; riuniti tutti i bambini, venne spiegato che, se si continuava a rubare, la Brinquedoteca si sarebbe ben presto svuotata e nessuno avrebbe più giocato. Da allora, non è sparito più nulla; non solo, i bambini ripongono sempre i giocattoli quando hanno finito di usarli, e raramente qualcosa viene rotto.
Altro particolare rivelatore della capacità educativa del progetto Brinquedoteca; i bimbi arrivano generalmente puliti e vestiti al meglio; si “adeguano al clima” curato e lindo di Vila Esperança, imparando a prendersi cura di se`.
Prima di tornare a casa, i bambini ricevono una merenda, che in effetti è una pietanza molto calorica e iperproteica, a base di fagioli, farina di manioca e uova (una vera mappazza :-). Qualcuno se ne spazza allegramente tre belle porzioni; credo che per alcuni sia uno dei pochi pasti completi della settimana.
La scuola è il progetto più ambizioso, e non solo per l’aspetto finanziario. Vorrebbe essere un istituto privato, ma completamente gratuito, per l’insegnamento materno ed elementare (7 classi in totale).
Per ora è partito solo un progetto pilota; Rosangela lavora di mattina con classi provenienti dai disastrati istituti pubblici cittadini, con azione di supporto didattico; il metodo di alfabetizzazione che applica dà molta importanza allo sviluppo creativo del bambino, per cui ci sono tanto disegno, canto, gioco e attività artistiche nelle sue lezioni.
L’impegno di Rosangela è veramente titanico; sono 95 i suoi scatenati alunni, e ogni mattinata di lezione necessita della preparazione del materiale didattico per 30 bambini; disegni da colorare e incollare, piccoli oggetti da assemblare, canzoncine, giochi.
Rosangela è l’unica stipendiata del gruppo, ma guadagna due salari minimi, circa 140 $/mese, ovvero poco più della cuoca e della donna di fatica, che guadagnano un salario minimo e mezzo (socialismo reale ?:-)
Il teatro
Il Grupo Circo Alegria do Povo non è animato solo da amore per l’infanzia; cerca di aiutare gli adulti di domani a vivere una vita più dignitosa, ma non dimentica gli adulti di oggi.
Il teatro popolare è una pratica molto diffusa in America Latina per educare, sensibilizzare, fare riflettere sulla propria condizione, portare a una maturazione personale e collettiva: “Nelle rappresentazioni il popolo vede riflessi i propri bisogni, le difficoltà e le conquiste; la vita vi si rispecchia, viene analizzata ed esaminata per trasformarla” (dai documenti della Vila).
L’importanza del teatro può essere facilmente sottovaluta da occhi “troppo” occidentali e tecnologici come i nostri; soprattutto, non bisogna pensare al teatro classico a cui siamo abituati, letterario e intellettuale.
Pensiamo piuttosto a Dario Fo, ma solo per dare un’idea, perchè qui l’impatto delle rappresentazioni è molto più forte.
La società di Goiàs è immobile e conservatrice; non c’è lavoro perchè i proprietari terrieri preferiscono allevare bestiame da carne (che richiede pochissima mano d’opera) che far coltivare la terra, l’iniziativa privata commerciale è limitata e arcaica; le merci vengono comperate nelle grandi città e rivendute a prezzo doppio o triplo a Goiàs!
Alcune famiglie di contadini si ribellano, appoggiate dal Partito dei Lavoratori e da diversi uomini di Chiesa, sia cattolica (attraverso le Commissioni Pastorali della Terra) che protestante; occupano piccoli appezzamenti abbandonati ai margini delle grandi proprietà, e cominciano a coltivare riso e fagioli, la base dell’alimentazione in Brasile .
Dopo almeno due anni di occupazione continuata, la legge dà loro diritto al possesso della terra. Diritto teorico, perchè dopo i due anni bisogna cominciare la causa per veder legalmente riconosciuto il diritto di proprietà; e c’è da resistere agli attacchi dei pistoleri pagati dai fazenderos (che non esitano ad uccidere vecchi e bambini), all’isolamento, alla mancanza di comodità (niente luce e acqua, per non parlare di medici, scuole,ecc).
La maggioranza desiste, pochi ce la fanno.
Uno dei progetti di lavoro con gli adulti del Grupo Circo è di portare il teatro in questi accampamenti, per dimostrare solidarietà, infondere coraggio, ricordare a quelle famiglie il senso della loro lotta per una vita dignitosa, aiutare la nascita di “compagnie” interne alle comunità. Già adesso ci sono contatti con queste realtà (il 29 aprile erano invitati a partecipare alla festa per una occupazione riuscita, dopo quattro anni di lotta dura) ma si vorrebbe attrezzare un vero e proprio carrozzone itinerante per raggiungere anche le comunità più lontane e isolate.
Gli spettacoli che sono finora stati rappresentati a Goiàs, alcuni con l’entusiastica partecipazione dei bambini (abbiamo visto le videocassette, una vera festa di colori, musiche e facce emozionate e sorridenti), hanno avuto come temi la politica, il razzismo, l’ecologia, la conquista dell’America.
L’ultimo, quello a cui abbiamo partecipato (dietro le quinte) Fabio e io, si intitola “Paix~ao segundo Esperança”; parla della passione di Cristo, e contrappone all’ interpretazione tradizionale goiana (così come è rappresentata nelle processioni della Settimana Santa) quella della comunità della Vila, ispirata dalla teologia della liberazione (il testo è stato scritto da Robson con l’aiuto di Marcelo Baros de Souza, un teologo noto tra i “sinistri cattolici”, le sue opere sono tradotte in italiano dalla Cittadella di Assisi).
Goiàs è famosa in Brasile per le celebrazioni della Settimana Santa (che in effetti comincia 14 giorni prima della Pasqua); le statue della Madonna a lutto e del Cristo con la croce vengono più volte portate in giro per la città; momento clou è il mercoledì notte, quando alla mezza i fogareu, enormi figure di incappucciati che brandiscono minacciose torce, vanno a prendere Gesù, e corrono per la città seguiti da una folla anch’essa armata di fiaccole.
Le celebrazioni finiscono con la un funerale del Cristo, il venerdì sera; nessuna festa per la Resurrezione. Le processioni non sono accompagnate da canti dei fedeli, che si limitano a seguire le statue tenendo in mano una candela accesa; un apposito coro, supportato dalla banda (militare !) intona una canzone solo durante le “stazioni”, ovvero soste di fronte alle case dei potenti. L’effetto scenografico è imponente, ma abbastanza inquietante.
Il lavoro del gruppo è partito proprio da questo dato di fatto; la cultura imperante è una cultura di morte e di sconfitta.
Le celebrazioni della Settimana Santa sono una perfetta espressione della mancanza di speranza e della mortificazione che si respira per le strade di Goiàs; non a caso la tradizione è appoggiata dalle famiglie dei potenti locali, molte, che vivono oramai a Brasilia o a São Paulo, ritornano nella città di origine solo durante il periodo pasquale per ricevere gli omaggi della popolazione.
La prima parte dello spettacolo è una parodia di queste celebrazioni. Nella seconda invece, con canti popolari “reinterpretati” e danze si sottolinea l’invito alla vita, alla gioia, alla liberazione contenuto nel testo evangelico; e la Resurrezione è il finale travolgente, sottolineato perfino da fuochi artificiali!
Pagina a cura di Maria Lissoni